venerdì 31 gennaio 2014

La rassegnata denuncia di un gruppo di rassegnati - "Gli indifferenti" di Moravia



This young man is Alberto motherfuckin’ Moravia
Il giovane Alberto Pincherle, soprannominato Moravia, nato in una famiglia medio-borghese, iniziò a scrivere “Gli Indifferenti” mentre era in convalescenza per una tubercolosi ossea che lo costrinse a letto per poco più di un anno, durante il quale tempo si formò, passando il tempo a leggere Freud, Dostojevskij, D’Annunzio, Pirandello… ; lo pubblicò poi nel ’29, dopo che una casa editrice glielo rifiutò, e grazie ad un contributo di 5000 lire da parte di suo padre.
Veniva così pubblicato il suo primo romanzo , un capolavoro del ’900 assai rappresentativo di quell’epoca ma che purtroppo resta sempre attuale.
“Gli indifferenti” è anzitutto un romanzo esistenzialista, il primo forse, sebbene Moravia neppure lo sapesse. Egli pone inoltre in esso un’atmosfera teatrale: “Cinque personaggi e due giorni” doveva inizialmente chiamarsi il romanzo, senza contare che anche le ambientazioni sono ben definite.
E’ però anche e soprattutto una denuncia: la scrittura di Moravia è realistica, scarna, come si addice ad una denuncia di un mondo, quello borghese, che lui disprezza, odia, per la sua amoralità e passività, le quali hanno reso possibile e favorito l’ascesa di Mussolini, arrivando alfine a ritenere possibile la “normalizzazione” del fascismo: certo, a suo dire , che sia diventato anti-borghese non è problema suo, <>, ma è evidente come non gli vada esattamente a genio la mentalità dilagante in esso, uh.
Boccaccio, col suo Decameron, ci aveva mostrato i lati positivi del ceto borghese, ossia la masserizia, la capacità di salvaguardare il proprio patrimonio, e l’industria, la capacità di superare gli ostacoli posti dalla Fortuna, ma non aveva mancato di mostrare come fossero indispensabili i valori cortesi per evitare che si scadesse nell’inumanità, che le persone diventassero mere macchine calcolatrici;
ecco, i personaggi del capolavoro di Moravia, che sono ampiamente riconducibili a maschere del tipo pirandelliano, simili anche ai personaggi sveviani, dunque nati in un certo modo, e che a quel modo ritornano dopo qualsiasi peripezia capiti loro, ampliano la descrizione di Boccaccio:
NO SPOILER
- Carla è una debole, che non riesce a provare veri sentimenti, e che è stanca della solita vita; si adatta passivamente a qualsiasi cosa le capiti, nella vana speranza di una nuova vita;
- Leo è colui che incarna l’inumanità borghese, anche per il suo aspetto, e fa di tutto per raggiungere i suoi scopi;
- Michele, l’ “eroe” della storia, colui che tenta di uscire dai mostruosi schemi del mondo in cui vive, dall’indifferenza che gli dilania la mente, che lo fa vivere male, ma…
- Mariagrazia, madre di Michele e Carla, pensa solo al benessere e al denaro, ed è colpevole inoltre di una grande falsità;
- Lisa, che dopo … vuole vivere una storia diversa e più pura, e non si fa scrupoli nel mostrare ciò e cercare di ottenerlo davanti a tutti (suona alquanto male detto così, ma non voglio spoilerare proprio nulla :v )
Sfacciataggine. Passività. Ma soprattutto indifferenza, il male tanto odiato da Gramsci. Il male peggiore, insieme all’ignoranza. Ancora oggi.
La storia inizia in medias res, ma quest’azione iniziale… resta lì, all’inizio.
I protagonisti sono degli inetti rammolliti. Solo Michele si eleva dal baratro.
Ma lo farà abbastanza?
Il libro fa pensare molto, non solo i pippamentalisti come me, ma chiunque sia dotato di intelligenza non troppo celata.
Portò Moravia alla ribalta, consentendogli di scalare le vette della letteratura, fino addirittura a farsi considerare da molti il più importante scrittore del ’900, ma in ogni caso, come già detto, quasi certamente il più rappresentativo.

“Non siate indifferenti a questo articolo, comprate e leggete il mio masterpissone.”

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