Articolo di caemine dal vecchio blog:
Mi capita spesso di rivivere la mia infanzia, quando ero uno spensierato e stupido infante. Stupido, sì. Un essere che trovava diletto in ogni evento, difficilmente in grado di elaborare pensieri più complessi di “Il cibo si mangia, l’acqua si beve. Se arriva lo stimolo bisogna andare al bagno”. Si viveva di nulla, alla fine era sufficiente l’affetto materno a donare felicità.
Dieci, undici, dodici anni ed ecco che la spensieratezza giunge al termine. Le sinapsi raggiungono numeri accettabili, gli impulsi cominciano ad acquisire ordine e si comincia a pensare. L’affetto dei genitori diventa un limite per la propria indipendenza, un ostacolo per la propria crescita. Tutti ti trattano come un bambino, provi a discutere di qualcosa di serio ma ti ridono in faccia. Loro ritengono che le tue capacità di giudizio siano inferiori a quelle di un cetriolo. E ci sono gli ormoni, che vanno in fermento appena si vede una portatrice di vagina, senza badare troppo ai dettagli. Ed è proprio nei momenti di “amore per sé stessi” che si è felici, si ha quella felicità che giunge appena si dimentica tutto il resto, perché in fondo non si hanno amici. Si hanno gerarchie come per ogni animale da branco, il bullone (non la cosa che si avvita, “bullo grande”), direttamente sotto di lui una decina di bulli che gli leccano il culo in ogni occasione e, in ogni occasione, maltrattano persone random, che più deboli sono meglio è.Ma ecco che gli anni passano e anche questo periodo termina, si superano gli esami di terza media e si aspetta, impazienti, il liceo. Il liceo, lontani da mamma e papà, indipendenti, finalmente. I primi giorni? Paradisiaci a dir poco. Si fanno nuove amicizie, si frequenta un istituto nuovo, ogni sala, ogni laboratorio è qualcosa di spaventosamente eccitante.Si supera il primo mese, ormai i nuovi amici non ti interessano più, non sono così diversi dai vecchi. Gli insegnanti disprezzano addirittura il tuo essere intelligente, forse lo ritengono scomodo. L’istituto diventa un luogo odioso a cui anche la gogna sarebbe preferibile.Ogni mattina ti svegli, prendi il bus, arrivi a scuola e osservi triste le persone felici che ti stanno intorno. C’è chi lo è per amore, perché l’ha trovato, chi lo è perché ha scarse capacità cerebrali. Ma tu ti senti solo, triste, tutti hanno motivi a te oscuri per odiarti. Arriva il 25 Dicembre, il Natale che in passato era una fonte di allegria e gioia senza pari ora diventa una semplice scusa per non frequentare quel corrotto luogo.Le arti e le scienze diventano l’unico rifugio pronto ad accoglierti in ogni momento, dai videogiochi alla fisica.Il tempo scorre inesorabile, ormai i globuli rossi non trasportano più ossigeno, ma pura e genuina misantropia. Misantropia che ti uccide lentamente dall’interno, come un tumore, un parassita, un parassita con un tumore.Sei ormai giunto al limite, stai per collassare ma qualcosa viene a salvarti con un’iniezione di quel calore che ormai non sentivi da un decennio. Arriva lei, un faro che t’illumina in un mare di oscurità. Accogli questa entità e credi di esser felice, ora non sei più solo. La sua semplice presenza ti dà più felicità di quanta te ne darebbe il diventare un dio.Ma ti accorgi che il tempo non si è ancora fermato, scorre indipendentemente da te, da lei, da voi, scorre. Capisci che “finchè morte non vi separi” impone una legge, prima o poi la signora con la falce verrà a prendere uno di voi, separandovi. E non riesci a fare a meno di pensare a questo e… ricominci a soffrire.
Tu non la ami davvero, tu non ami lei, ami te. Tu sei lei, lei è te, le vostre esistenze sono un tuttuno, legate l’una all’altra da un’eterea catena. Ecco che anche la sua impulsività, i suoi goffi modi, la sua incosciente tendenza a farti male diventano parte di te stesso, parti che osservi con ammirazione, con amore. Il tuo male è curato, soffri ancora ma c’è qualcosa di più forte che mette il dolore in secondo piano, la gioia.Preferirei allegare una citazione e non la solita canzone:“Sixsmith, salgo i gradini dello Scott monument ogni mattina, e tutto diventa chiaro. Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso”-R. Frobisher, Cloud Atlas (David Mitchell)
Dieci, undici, dodici anni ed ecco che la spensieratezza giunge al termine. Le sinapsi raggiungono numeri accettabili, gli impulsi cominciano ad acquisire ordine e si comincia a pensare. L’affetto dei genitori diventa un limite per la propria indipendenza, un ostacolo per la propria crescita. Tutti ti trattano come un bambino, provi a discutere di qualcosa di serio ma ti ridono in faccia. Loro ritengono che le tue capacità di giudizio siano inferiori a quelle di un cetriolo. E ci sono gli ormoni, che vanno in fermento appena si vede una portatrice di vagina, senza badare troppo ai dettagli. Ed è proprio nei momenti di “amore per sé stessi” che si è felici, si ha quella felicità che giunge appena si dimentica tutto il resto, perché in fondo non si hanno amici. Si hanno gerarchie come per ogni animale da branco, il bullone (non la cosa che si avvita, “bullo grande”), direttamente sotto di lui una decina di bulli che gli leccano il culo in ogni occasione e, in ogni occasione, maltrattano persone random, che più deboli sono meglio è.Ma ecco che gli anni passano e anche questo periodo termina, si superano gli esami di terza media e si aspetta, impazienti, il liceo. Il liceo, lontani da mamma e papà, indipendenti, finalmente. I primi giorni? Paradisiaci a dir poco. Si fanno nuove amicizie, si frequenta un istituto nuovo, ogni sala, ogni laboratorio è qualcosa di spaventosamente eccitante.Si supera il primo mese, ormai i nuovi amici non ti interessano più, non sono così diversi dai vecchi. Gli insegnanti disprezzano addirittura il tuo essere intelligente, forse lo ritengono scomodo. L’istituto diventa un luogo odioso a cui anche la gogna sarebbe preferibile.Ogni mattina ti svegli, prendi il bus, arrivi a scuola e osservi triste le persone felici che ti stanno intorno. C’è chi lo è per amore, perché l’ha trovato, chi lo è perché ha scarse capacità cerebrali. Ma tu ti senti solo, triste, tutti hanno motivi a te oscuri per odiarti. Arriva il 25 Dicembre, il Natale che in passato era una fonte di allegria e gioia senza pari ora diventa una semplice scusa per non frequentare quel corrotto luogo.Le arti e le scienze diventano l’unico rifugio pronto ad accoglierti in ogni momento, dai videogiochi alla fisica.Il tempo scorre inesorabile, ormai i globuli rossi non trasportano più ossigeno, ma pura e genuina misantropia. Misantropia che ti uccide lentamente dall’interno, come un tumore, un parassita, un parassita con un tumore.Sei ormai giunto al limite, stai per collassare ma qualcosa viene a salvarti con un’iniezione di quel calore che ormai non sentivi da un decennio. Arriva lei, un faro che t’illumina in un mare di oscurità. Accogli questa entità e credi di esser felice, ora non sei più solo. La sua semplice presenza ti dà più felicità di quanta te ne darebbe il diventare un dio.Ma ti accorgi che il tempo non si è ancora fermato, scorre indipendentemente da te, da lei, da voi, scorre. Capisci che “finchè morte non vi separi” impone una legge, prima o poi la signora con la falce verrà a prendere uno di voi, separandovi. E non riesci a fare a meno di pensare a questo e… ricominci a soffrire.
Tu non la ami davvero, tu non ami lei, ami te. Tu sei lei, lei è te, le vostre esistenze sono un tuttuno, legate l’una all’altra da un’eterea catena. Ecco che anche la sua impulsività, i suoi goffi modi, la sua incosciente tendenza a farti male diventano parte di te stesso, parti che osservi con ammirazione, con amore. Il tuo male è curato, soffri ancora ma c’è qualcosa di più forte che mette il dolore in secondo piano, la gioia.Preferirei allegare una citazione e non la solita canzone:“Sixsmith, salgo i gradini dello Scott monument ogni mattina, e tutto diventa chiaro. Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso”-R. Frobisher, Cloud Atlas (David Mitchell)
Un libro ed un film che consiglio vivamente, un po’ fuori dagli schemi, forse difficile da comprendere. Ma fa pensare come poche altre opere sanno fare, e fa piangere, oh sì, fa piangere di brutto. A volte non sai neanche perché, ma piangi. Proprio come sto facendo io in questo momento.
-Un caemine fin troppo poco virile

Nessun commento:
Posta un commento