domenica 16 febbraio 2014

Lucrezio - l'epicureismo a Roma

L'epicureismo fu il primo sistema filosofico a diffondersi tra i ceti intellettuali romani, quando iniziavano a decadere i valori del mos maiorum, ergo, col passaggio dalla repubblica all'impero, durante il principato di Ottaviano Augusto. In realtà i romani entrarono in contatto con le filosofie ellenistiche già nella seconda metà del III secolo a.C. , però è solo sotto Augusto che si assistette ad un attecchimento dell'epicureismo.
A quel tempo anche lo stoicismo era penetrato nella società romana, grazie all'azione mitigatrice di Panezio di Rodi, che lo rese compatibile con la mentalità romana (si parlerà di ciò in un altro articolo), ma si sarebbe dovuto aspettare il I-II sec. d.C perché questo prevalesse, con figure di spicco quali Seneca e Marco Aurelio.
Principale esponente dell'epicureismo a Roma è invece Lucrezio, della cui vita si sa poco e niente, tranne che (forse, visto che è possibile sia una leggenda messa in giro da cristiani bigotti) morì suicida all'età di 43 anni nel 55 a.C.

Egli poneva, come Epicuro, la natura alla base di tutto, ma al contrario di lui, aveva una considerazione ambivalente di questa: le divinità avevano un lato oscuro, ad esempio Apollo era, sì, il dio del Sole, della conoscenza, ma era anche il dio della peste, del veleno.

La sua era ordunque una concezione pessimistica, la quale si evince d'altronde dal suo poema, capolavoro della letteratura europea, il De rerum natura: trattasi del primo poema di contenuto filosofico della letteratura latina, grazie al quale Lucrezio rese accessibile ai romani il messaggio della filosofia epicurea; in esso egli esalta la ragione come strumento di indagine della realtà, dimostra l'infondatezza della paura degli dèi, i quali vivono beati negli intermundia e non hanno avuto alcun ruolo nella creazione del mondo, nato dalla casuale aggregazione di atomi (e da qui e dalla constatazione che l'uomo incontra continui ostacoli nella sua vita, deriva la negazione di qualsiasi provvidenza), dimostrando la mortalità dell'anima e l'inesistenza di una vita oltre la morte (causa del butthurt dei cristiani bigotti) prova l'infondatezza della paura della morte, distoglie il lettore dalle passioni che lo privano della felicità, e lo esorta a vivere appartato, a vivere nascosto (precetto epicureo).
Si parlerà più a fondo di questo capolavoro, e di conseguenza del pensiero di Lucrezio, in un altro momento.

giovedì 6 febbraio 2014

Vita di un pensatore medio

Spiacente per l'assenza causa scuola, questo fine settimana si recupera e si torna al lavoro.
Articolo di caemine dal vecchio blog:




Mi capita spesso di rivivere la mia infanzia, quando ero uno spensierato e stupido infante. Stupido, sì. Un essere che trovava diletto in ogni evento, difficilmente in grado di elaborare pensieri più complessi di “Il cibo si mangia, l’acqua si beve. Se arriva lo stimolo bisogna andare al bagno”. Si viveva di nulla, alla fine era sufficiente l’affetto materno a donare felicità.
 
Dieci, undici, dodici anni ed ecco che la spensieratezza giunge al termine. Le sinapsi raggiungono numeri accettabili, gli impulsi cominciano ad acquisire ordine e si comincia a pensare. L’affetto dei genitori diventa un limite per la propria indipendenza, un ostacolo per la propria crescita. Tutti ti trattano come un bambino, provi a discutere di qualcosa di serio ma ti ridono in faccia. Loro ritengono che le tue capacità di giudizio siano inferiori a quelle di un cetriolo. E ci sono gli ormoni, che vanno in fermento appena si vede una portatrice di vagina, senza badare troppo ai dettagli. Ed è proprio nei momenti di “amore per sé stessi” che si è felici, si ha quella felicità che giunge appena si dimentica tutto il resto, perché in fondo non si hanno amici. Si hanno gerarchie come per ogni animale da branco, il bullone (non la cosa che si avvita, “bullo grande”), direttamente sotto di lui una decina di bulli che gli leccano il culo in ogni occasione e, in ogni occasione, maltrattano persone random, che più deboli sono meglio è.Ma ecco che gli anni passano e anche questo periodo termina, si superano gli esami di terza media e si aspetta, impazienti, il liceo. Il liceo, lontani da mamma e papà, indipendenti, finalmente. I primi giorni? Paradisiaci a dir poco. Si fanno nuove amicizie, si frequenta un istituto nuovo, ogni sala, ogni laboratorio è qualcosa di spaventosamente eccitante.Si supera il primo mese, ormai i nuovi amici non ti interessano più, non sono così diversi dai vecchi. Gli insegnanti disprezzano addirittura il tuo essere intelligente, forse lo ritengono scomodo. L’istituto diventa un luogo odioso a cui anche la gogna sarebbe preferibile.Ogni mattina ti svegli, prendi il bus, arrivi a scuola e osservi triste le persone felici che ti stanno intorno. C’è chi lo è per amore, perché l’ha trovato, chi lo è perché ha scarse capacità cerebrali. Ma tu ti senti solo, triste, tutti hanno motivi a te oscuri per odiarti. Arriva il 25 Dicembre, il Natale che in passato era una fonte di allegria e gioia senza pari ora diventa una semplice scusa per non frequentare quel corrotto luogo.Le arti e le scienze diventano l’unico rifugio pronto ad accoglierti in ogni momento, dai videogiochi alla fisica.Il tempo scorre inesorabile, ormai i globuli rossi non trasportano più ossigeno, ma pura e genuina misantropia. Misantropia che ti uccide lentamente dall’interno, come un tumore, un parassita, un parassita con un tumore.Sei ormai giunto al limite, stai per collassare ma qualcosa viene a salvarti con un’iniezione di quel calore che ormai non sentivi da un decennio. Arriva lei, un faro che t’illumina in un mare di oscurità. Accogli questa entità e credi di esser felice, ora non sei più solo. La sua semplice presenza ti dà più felicità di quanta te ne darebbe il diventare un dio.Ma ti accorgi che il tempo non si è ancora fermato, scorre indipendentemente da te, da lei, da voi, scorre. Capisci che “finchè morte non vi separi” impone una legge, prima o poi la signora con la falce verrà a prendere uno di voi, separandovi. E non riesci a fare a meno di pensare a questo e… ricominci a soffrire.
 
Tu non la ami davvero, tu non ami lei, ami te. Tu sei lei, lei è te, le vostre esistenze sono un tuttuno, legate l’una all’altra da un’eterea catena. Ecco che anche la sua impulsività, i suoi goffi modi, la sua incosciente tendenza a farti male diventano parte di te stesso, parti che osservi con ammirazione, con amore. Il tuo male è curato, soffri ancora ma c’è qualcosa di più forte che mette il dolore in secondo piano, la gioia.Preferirei allegare una citazione e non la solita canzone:“Sixsmith, salgo i gradini dello Scott monument ogni mattina, e tutto diventa chiaro. Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso”-R. Frobisher, Cloud Atlas (David Mitchell)
Un libro ed un film che consiglio vivamente, un po’ fuori dagli schemi, forse difficile da comprendere. Ma fa pensare come poche altre opere sanno fare, e fa piangere, oh sì, fa piangere di brutto. A volte non sai neanche perché, ma piangi. Proprio come sto facendo io in questo momento.
-Un caemine fin troppo poco virile

venerdì 31 gennaio 2014

La rassegnata denuncia di un gruppo di rassegnati - "Gli indifferenti" di Moravia



This young man is Alberto motherfuckin’ Moravia
Il giovane Alberto Pincherle, soprannominato Moravia, nato in una famiglia medio-borghese, iniziò a scrivere “Gli Indifferenti” mentre era in convalescenza per una tubercolosi ossea che lo costrinse a letto per poco più di un anno, durante il quale tempo si formò, passando il tempo a leggere Freud, Dostojevskij, D’Annunzio, Pirandello… ; lo pubblicò poi nel ’29, dopo che una casa editrice glielo rifiutò, e grazie ad un contributo di 5000 lire da parte di suo padre.
Veniva così pubblicato il suo primo romanzo , un capolavoro del ’900 assai rappresentativo di quell’epoca ma che purtroppo resta sempre attuale.
“Gli indifferenti” è anzitutto un romanzo esistenzialista, il primo forse, sebbene Moravia neppure lo sapesse. Egli pone inoltre in esso un’atmosfera teatrale: “Cinque personaggi e due giorni” doveva inizialmente chiamarsi il romanzo, senza contare che anche le ambientazioni sono ben definite.
E’ però anche e soprattutto una denuncia: la scrittura di Moravia è realistica, scarna, come si addice ad una denuncia di un mondo, quello borghese, che lui disprezza, odia, per la sua amoralità e passività, le quali hanno reso possibile e favorito l’ascesa di Mussolini, arrivando alfine a ritenere possibile la “normalizzazione” del fascismo: certo, a suo dire , che sia diventato anti-borghese non è problema suo, <>, ma è evidente come non gli vada esattamente a genio la mentalità dilagante in esso, uh.
Boccaccio, col suo Decameron, ci aveva mostrato i lati positivi del ceto borghese, ossia la masserizia, la capacità di salvaguardare il proprio patrimonio, e l’industria, la capacità di superare gli ostacoli posti dalla Fortuna, ma non aveva mancato di mostrare come fossero indispensabili i valori cortesi per evitare che si scadesse nell’inumanità, che le persone diventassero mere macchine calcolatrici;
ecco, i personaggi del capolavoro di Moravia, che sono ampiamente riconducibili a maschere del tipo pirandelliano, simili anche ai personaggi sveviani, dunque nati in un certo modo, e che a quel modo ritornano dopo qualsiasi peripezia capiti loro, ampliano la descrizione di Boccaccio:
NO SPOILER
- Carla è una debole, che non riesce a provare veri sentimenti, e che è stanca della solita vita; si adatta passivamente a qualsiasi cosa le capiti, nella vana speranza di una nuova vita;
- Leo è colui che incarna l’inumanità borghese, anche per il suo aspetto, e fa di tutto per raggiungere i suoi scopi;
- Michele, l’ “eroe” della storia, colui che tenta di uscire dai mostruosi schemi del mondo in cui vive, dall’indifferenza che gli dilania la mente, che lo fa vivere male, ma…
- Mariagrazia, madre di Michele e Carla, pensa solo al benessere e al denaro, ed è colpevole inoltre di una grande falsità;
- Lisa, che dopo … vuole vivere una storia diversa e più pura, e non si fa scrupoli nel mostrare ciò e cercare di ottenerlo davanti a tutti (suona alquanto male detto così, ma non voglio spoilerare proprio nulla :v )
Sfacciataggine. Passività. Ma soprattutto indifferenza, il male tanto odiato da Gramsci. Il male peggiore, insieme all’ignoranza. Ancora oggi.
La storia inizia in medias res, ma quest’azione iniziale… resta lì, all’inizio.
I protagonisti sono degli inetti rammolliti. Solo Michele si eleva dal baratro.
Ma lo farà abbastanza?
Il libro fa pensare molto, non solo i pippamentalisti come me, ma chiunque sia dotato di intelligenza non troppo celata.
Portò Moravia alla ribalta, consentendogli di scalare le vette della letteratura, fino addirittura a farsi considerare da molti il più importante scrittore del ’900, ma in ogni caso, come già detto, quasi certamente il più rappresentativo.

“Non siate indifferenti a questo articolo, comprate e leggete il mio masterpissone.”

martedì 28 gennaio 2014

Il pelo chiaro, sottile, corto e la pelle nera negli umani

Non ce l'ho fatta a finire la roba su Mussolini, sono piuttosto incasinato in questi giorni. Finché non riuscirò usufruirò degli articoli da me scritti nel mio vecchio blog, come questo.



Una coppietta di homo ergaster durante una disputa al supermercato vicino a casa
Il razzismo è una concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore’.

La prima teoria ‘scientifica’ della differenziazione biologica dell’umanità in razze fu la classificazione in base al colore della pelle operata da C. Linneo nel 1735.

Anche l’evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della razza bianca, più adatta ad affrontare la lotta per la vita e la selezione naturale.

(Treccani)
L’evoluzione biologica è il processo di cambiamento adattivo per il quale tutte le specie viventi – e solo queste – mutano di generazione in generazione per adattarsi all’ambiente in continua trasformazione.
(Treccani)
Tra le tante prove dell’evoluzione , provenienti dalle discipline più disparate, solitamente non si pensa a ciò: se non fosse stato grazie alla capacità degli organismi degli ominidi di cambiare al fine di adattarsi alle trasformazioni ambientali, ovvero di evolversi, noi tutti saremmo ancora pelosi e avremmo la pelle bianca. E di certo non occuperemmo territori caratterizzati da un clima tropicale.
Quanto alle razze, sarà evidente a fine articolo che le differenze fenotipiche che caratterizzano due diverse etnie sono dovute all’adattamento a due diversi ambienti, e che in essi tanto la pelle chiara quanto quella scura sono vantaggiose, senza alcuna superiorità della prima. Vi è poi una parte pseudo-antropometrica della teoria del razzismo che confuterò in un altro articolo.
I primi ominidi, fino a 2 milioni di anni fa, avevano sotto il pelo scuro, proprio come gli scimpanzé (specie più vicina geneticamente a noi), la pelle bianca. In quell’epoca, coesistevano Homo habilis, vissuto tra circa 2,3 milioni di anni fa e 1,5 milioni di anni fa, e Homo ergaster, vissuto tra circa 1,9 milioni di anni fa e 1,5 milioni di anni fa. [1] e [2]L’uno visse sempre in Africa, in praterie e foreste dove il clima diveniva sempre più freddo e rigido. [1]Nel frattempo, le savane dell’Africa orientale subivano da 2 a 1,8 milioni di anni fa bruschi e continui cambiamenti climatici. [4] E’ alla fine di questi che il clima divenne più arido, favorendo l’espansione delle savane.Fu l’ergaster il primo ominide a popolare questo nuovo ambiente ben più aperto di quelli cui era abituato l’homo habilis: dunque perse gli adattamenti dei suoi predecessori atti ad arrampicarsi sugli alberi, ed acquisì gambe più lunghe che gli permettevano di spostarsi su lunghe distanze e anche la capacità di correre su due zampe. [2]Si verificò però un problema: a differenza dell’habilis, alto 130 cm, l’ergaster era un brutto bestione di 180 cm, nel quale quindi l’omeostasi non poteva avvenire facilmente come in un animale, dotato anch’esso di una notevole pelliccia, ma ben più piccolo come la iena; quando andavano a caccia si surriscaldavano velocemente, sia per la maggiore esposizione al sole sia perché procurarsi il cibo era ora più difficile che in passato, e quindi dovevano tornare presto indietro, facilmente a mani vuote.E d’altronde, sebbene entrambi mangiassero carne [3], questa caratterizzava l’alimentazione soprattutto del secondo, come testimoniano la gabbia toracica e il bacino più piccoli di quelli delle specie Homo precedenti, che implicano un ventre più piccolo; questo, in congiunta ad un cervello più grande, rende necessario che l’ergaster avesse un’alimentazione più nutriente, ergo, includesse più carne nella propria dieta [2].Dunque non poteva accontentarsi più di tanto di semi, radici, foglie, bacche, frutta: era costretto a doversi procurare della carne stando attento a non essere ucciso dai grandi predatori, e in particolare la sua bestia nera doveva essere la iena, (seguita dall’avvoltoio, presente nell’immagine in evidenza), considerato che le carcasse di animali morti erano l’unica possibilità di successo nella caccia: gli studiosi concordano nel non vedere gli ergaster con una lancia in mano.Soluzione al problema? Sudore! Aveva pochissime ghiandole sudorali, poste quasi esclusivamente sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi. Dunque, nel corso di un milione di anni sviluppò un pelo più chiaro, sottile e corto di quello dello scimpanzé (ma non meno folto: un uomo medio ha più peli di uno scimpanzé) a favore di due milioni di ghiandole sudorali. Insomma dovette sviluppare un migliore sistema di raffreddamento.Sorgeva però così un altro problema: i nostri antenati non avevano difese dall’intensa luce solare, pertanto a seguito di una mutazione con la quale la melanina passò da agire sulla scurezza dei peli ad agire sulla scurezza della pelle, coloro che avevano abbastanza melanina, e di conseguenza svilupparono una pelle abbastanza scura, sopravvissero, chi no, morì. E’ chiaro che questo portò alfine ad una totalità di persone aventi la pelle nera, a parte gli albini (caratterizzati dall’assenza di melanina), che comunque morivano subito.Si conviene però specificare che non trattavasi semplicemente di evitare un cancro alla pelle, il che non avrebbe mai costituito una spinta evoluzionistica: l’esposizione a luce solare intensa per una sola ora dimezzava (come lo fa ancora oggi, ovviamente) la folacina di un individuo con la pelle bianca, e bassi livelli di essa portano a difetti del tubo neurale, che portano ad un non completo sviluppo del cervello o del midollo spinale. Inoltre poca folacina ostacola lo sviluppo dello sperma. E infine la pelle nera servì per bloccare i raggi solari, perché da quelli UV è determinata la produzione della vitamina D, importante perché facilita l’assorbimento del calcio da parte dell’organismo e il deposito di esso nelle ossa, ma che a livelli elevati diventa tossica.Ed è da qui che parte la necessaria spiegazione di perché non siamo tutti neri.I signori ergaster 1,2 milioni di anni fa migrarono verso Nord, dove la luce solare era molto meno intensa che in Africa. La pelle nera veniva ad essere controproducente: essendo la luce meno intensa, erano meno anche i raggi UV, e pertanto non abbastanza per la produzione di vitamina D quelli lasciati passare dalla pelle nera; dunque a questo punto sopravvissero i pochi che avevano abbastanza poca melanina, e quindi una pelle abbastanza chiara, poiché è evidente che qualunque trauma fisico ricevessero quelli con la pelle scura era fatale a causa della grave carenza di vitamina D.
Fonti:
c.d.d.
This, my friends, is the story of how come you’re not fucking chimpanzees (ambiguità stupenda qui) and you can admire niggas, equal to you and so similar to you genetically, all over the world.
Now just shut up, and enjoy the greatest show on Earth:



venerdì 24 gennaio 2014

La morte di Mussolini - parte 1

Il cadavere del Duce appoggiato a quello dell'amante Clarice Petacci

Il capo del fascismo. L'ultimo dittatore d'Italia. Il Duce. Quando è morto Mussolini? Ci importa saperlo perché oggi noi tutti, italiani, celebriamo una festa strettamente collegata alla sua morte.
Si tratta ovviamente della Festa della Liberazione. Essa cade il 25 aprile, ovvero l'anniversario della liberazione di Milano e Torino e dell'annuncio ufficiale via radio da parte del Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia (CLNAI) dell'insurrezione generale contro i nazifascisti e della condanna a morte dei capi fascisti. Del CLNAI faceva parte anche Sandro Pertini, che sarebbe stato Presidente della Repubblica dal '78 all'85.
Condanna a morte quindi di Mussolini. Ma lui dov'era? Ebbene, cominciamo dall'inizio della sua caduta.
In seguito all'invasione alleata dell'Italia, Mussolini combinò con Hitler un vertice, che in teoria sarebbe dovuto durare 3 giorni, dal 9 luglio al 21 luglio 1943, al fine di spiegargli come non fosse possibile per il suo Paese restare nell'alleanza e continuare la guerra. Purtroppo per il piccolo grande Benito il Führer indirizzò subito la conversazione dalla parte diametralmente opposta, mettendo il Duce alle spalle al muro. Il vertice durò tre ore e mezzo.
Durante l'incontro era inoltre venuto a sapere del bombardamento su Roma, insieme a Hitler.
Ciò lo sconvolse. Il 22 luglio ebbe un colloquio con il Re Vittorio Emanuele III, in cui gli riferì dell'incontro con il leader nazista e dellla convocazione del Gran Consiglio da lui approvata il giorno prima: naturalmente i due interlocutori concordarono sulla necessità di tirarsi fuori dal conflitto, ma con un elemento di discordanza. L'uno riteneva auspicabili le dimissioni di Mussolini; l'altro, l'interessato, no. Dello stesso avviso fu il Gran Consiglio, sulla scia della proposta di Dino Grandi. Dopo che questi tentò invano di convincere il Duce, la sera del 24 luglio ci fu una seduta segreta del Gran Consiglio in cui fu approvata la mozione Grandi: Mussolini fu privato di tutti i suoi poteri e arrestato il giorno dopo, per ordine del Re. Dopo un colloquio, fu fatto salire su di un'autoambulanza facendogli credere fosse per la sua incolumità. Era la caduta del regime fascista. Dopo la permanenza in una caserma di Roma Badoglio, il suo sostituto al governo, propose di spostarlo alla Rocca delle Caminate; proposta respinta dal prefetto di Forlì per "impossibilità di mantenere l'ordine pubblico". Venne allora spostato nell'isola di Ponza, poi, per depistare i tedeschi, sull'isola della Maddalena e alfine nell'altopiano di Campo Imperatore. Qui il 12 settembre fu liberato dal capo delle SS Otto Skorxeny. Su consiglio (consiglio che sa tanto di gentile ordine) di Hitler, creò la Repubblica Sociale Italiana (RSI). Essa era però comandata dai tedeschi, Mussolini e i suoi uomini erano autonomi solo nel campo militare.
Nell'aprile 1945 i tedeschi non hanno più bisogno di lui. Si rifugiò a Milano, da dove, il 25, partì alla volta di Como, città scarsamente partigiana e abbastanza protetta. Qui poteva attendere l'arrivo degli Alleati e consegnarsi a loro, con la garanzia di un processo internazionale, in cui sarebbe stato difficile distinguere le colpe del popolo da quelle del condottiero. Ed è per questo che i partigiani erano decisi ad eliminarlo senza indugi.
Le autorità locali furono però ostili a Mussolini & co. e pertanto se ne andarono in fretta e furia verso Menaggio e da lì a Grandola. Il 27 si unirono quindi, con ora anche l'amante Claretta e il fratello di lei, ad un convoglio di carri tedeschi diretti a Dongo. Ma, problema. C'era un posto di blocco della 52esima Brigata Garibaldi.
Si travestì allora da ufficiale tedesco ubriaco, sotto consiglio di un nazista, ma venne scoperto, disarmato ed arrestato da un partigiano, grazie alle preziose informazioni ricavate dal sacerdote cui si erano confidati alcuni partigiani. Così anche Claretta.
Il giorno dopo vennero quindi fucilati, ma la ricostruzione esatta è assai falsata dal racconto del Colonnello Valerio. Ci sono diverse incongruenze di cui tratterò stasera o domani in un altro articolo, hasta luego!

martedì 21 gennaio 2014

"Acqua Santissima" - La ragnatela della 'ndrangheta

L'eloquente copertina del lungimirante libro


La 'ndrangheta è come un ragno. Tesse ragnatele di amicizie , conoscenze e obbligazioni con uomini delle istituzioni e non. Investe tutti i settori di una società. Con essa sono implicati uomini di ogni occupazione da magistrati a poliziotti, da assessori comunali a sindaci fino alle più alte sfere politiche. Tutti i campi di una società sono conniventi o collusi, nessuno escluso, nemmeno la Chiesa.I rapporti fra la Chiesa Cattolica e le mafie hanno origine in tempi remoti: le prime relazioni in Calabria rimandano al lontano 1863 quando un parroco fu accusato da decine di cittadini di essere legato a famiglie con le quali compiva abusi e violenze. I primi provvedimenti ecclesiastici per contrastare la 'ndrangheta si presero solo nel 1975 quando la Conferenza Episcopale Calabra per la prima volta scrisse la parola "mafia" in un documento ufficiale.
Pochi sono i preti che prima del '75 non hanno taciuto e che puntualmente sono rimasti inascoltati e soli, come don Antonio Polimeni e don Giorgio Fallara, uccisi perché denunciarono un sacerdote complice con i mafiosi di rubare ed estorcere soldi per il pagamento della contribuzione fondiaria.
La Chiesa ha tratto forza e affermazione della propria autorità dalle mafie e così queste da essa. I mafiosi erano visti dai preti come uomini a servizio della comunità perché organizzavano a proprie spese feste patronali, processioni, ristrutturazioni di chiese e donazioni di ingenti quantità di denaro e terreni. Essi erano visti come i paladini della cristianità perché combattevano il comunismo e il divagare di idee anti-tradizionaliste . Il pensiero dei parroci influenzava quello dei fedeli, i quali essendo nella maggior parte dei casi analfabeti e quindi privi di un sufficiente raziocinio finivano per percepire la figura del mafioso come un'autorità, legittimata dal sacerdote; autorità che però non era realmente legittimata dal fedele stesso, solo temuta sproporzionatamente. Gli appartenenti ad organizzazioni criminali adoperandosi a fare del bene all'interno di una comunità parrocchiale finiscono per essere visti dalla società come benefattori e ciò accresce la loro influenza.
La 'ndrangheta ,come le altre mafie, fin dai primordi della sua esistenza era ed è un espressione legittimata di una società che vive ai margini delle istituzioni pubbliche, che non riconosce lo Stato e non ne è riconosciuta. Non spoglia i ricchi per aiutare i poveri né tanto meno ha interesse nel farlo in altro modo è piuttosto una sorta di élite plebea che tende a sfruttare i suoi simili ed è ossequiosa con i potenti.Dopo la presa di posizione della Conferenza Episcopale Calabra del 1975 molti sono stati i sacerdoti che non hanno abbassato e non abbassano e mai abbasseranno la testa e che sono arrivati fino al sacrificio ultimo per debellare questo cancro chiamato 'ndrangheta che affligge la nostra Calabria e il mondo intero; tra questi vi sono i donni Giuseppe Campisano , Domenico Tropeano, Giorgio Rigori, Emilio Stamile, Giorgio Fallara e Giacomo Panizza.
Le sfere alte della Chiesa solo nel 2010 con il documento della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) condannarono le mafie ma tuttavia lasciarono ai singoli sacerdoti l'iniziativa di prendere provvedimenti senza alcuna linea guida.
Da più fronti religiosi si sollecita la scomunica degli appartenenti alle organizzazioni criminali, i quali vivono una religiosità frutto di una logica della violenza che non ha nessun punto d'incontro con quella cristiana alché però la Chiesa fa un brusco dietrofront. L'arcivescovo Mariano Crociata afferma che i mafiosi sono già fuori dalla Chiesa e non c'è bisogno di scomuniche esplicite.A mio parere la scomunica inciderebbe positivamente sulla concezione della figura del malavitoso demonizzandola come si conviene; una demonizzazione che ovviamente rispecchia la realtà. Fare ciò darebbe un segnale importante anche alla società facendo capire che i mafiosi non sono cristiani, non perché facciano parte di un'organizzazione criminale, ma perché professano una religione, come ho precedentemente detto, che non ha nulla a che vedere con il cristianesimo perché privilegia la loro figura ponendoli al di sopra degli altri fedeli. Inoltre il loro Dio permette che sotto la sua protezione compiano crimini contro l'umanità.
In conclusione la Chiesa , in quanto istituzione avente una presenza capillare sul territorio italiano, dovrebbe aumentare il suo impegno contro la lotta alle mafie aiutando la comunità a capire l'importanza di non essere indifferenti a tale problema.
Il procuratore aggiunto a Reggio Calabria Nicola Gratteri e il giornalista e ricercatore Antonio Nicaso, gli autori del lungimirante libro 

Quello da cui cerco di prendere ispirazione, e da cui sogno che sempre più persone prendano ispirazione sono le stupende parole di un uomo, Gratteri, (senza nulla togliere allo splendido Nicaso) che a definirlo lodevole si usa un eufemismo, e con le quali termino l'articolo: 
Da ragazzo volevo fare il magistrato per mettermi al servizio della collettività. Ho dato tutto me stesso, nei limiti delle mie capacità e possibilità.

Il mondo di Sofia

L’autore norvegese Jostein Gaarder ed il suo romanzo filosofico .
Con il cosmo come sfondo mlmlmlml


Si tratta forse del primo fantastico romanzo che ho letto da me, consigliatomi da un mio zio, anni fa. Lo raccomando a tutti, sia a chi piace domandare e domandarsi, come reazione allo stupore dinanzi alla meraviglia quale è l’Universo (e forse Multiverso), stando attenti a non dimenticare come si è bambini una volta cresciuti, sia a chi ancora non ha capito cosa si perde. Perché così la vita è più bella.
Gaarder vuole far capire al lettore che la vita è più bella se vissuta attraverso le lenti della filosofia e con la consapevolezza che tutto è relativo, anche la libertà e la nostra stessa esistenza (anche se penso che questa possa considerarsi in qualche modo comunque assoluta, nonostante il finale del libro).
“L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per diventare bravi filosofi è la capacità di stupirsi.”
(Jostein Gaarder)

NO SPOILER <3
Sofia è una quattordicenne come tante (anche se si chiama come la mia futura figlia, “sapienza” in greco :3 ), ma un giorno, tornando da scuola, trova nella cassetta apposita una lettera anonima : “Chi sei tu?”
Arrivati a leggere ciò, nel libro, si è già entrati nell’atmosfera: si è già incuriositi di sapere chi è, già ci si è impersonati nella ragazzina, dopo una sola pagina di lettura, o almeno ricordo che queste fossero le mie sensazioni.
Ed è solo l’inizio. Questa sarà soltanto la prima di una lunga serie di lettere, videocassette, cartoline , le quali si scopriranno essere di un uomo, Alberto Knox, un filosofo che vuole preparare Sofia, mediante la filosofia, a scopritelovoichecosa.
In seguito, trova delle lettere provenienti dal maggiore Albert Knag, destinate però non a lei, ma a sua figlia Hilde.
Nel finale, si capirà chi sono questi due personaggi, ed il legame che hanno con Sofia ed Alberto. Un finale strepitoso, ovviamente.
Sofia, ed il lettore insieme a lei, ripercorrerà la storia della filosofia, dalla mitologia nordica alle correnti post-moderne, domandandosi, scoprendo, imparando, meravigliandosi.
Sofia, nel film (che devo impegnarmi a vedere, ad esser sinceri) tratto dal libro
Si tratta di un capolavoro indiscusso e indiscutibile. Da leggere.