domenica 16 febbraio 2014

Lucrezio - l'epicureismo a Roma

L'epicureismo fu il primo sistema filosofico a diffondersi tra i ceti intellettuali romani, quando iniziavano a decadere i valori del mos maiorum, ergo, col passaggio dalla repubblica all'impero, durante il principato di Ottaviano Augusto. In realtà i romani entrarono in contatto con le filosofie ellenistiche già nella seconda metà del III secolo a.C. , però è solo sotto Augusto che si assistette ad un attecchimento dell'epicureismo.
A quel tempo anche lo stoicismo era penetrato nella società romana, grazie all'azione mitigatrice di Panezio di Rodi, che lo rese compatibile con la mentalità romana (si parlerà di ciò in un altro articolo), ma si sarebbe dovuto aspettare il I-II sec. d.C perché questo prevalesse, con figure di spicco quali Seneca e Marco Aurelio.
Principale esponente dell'epicureismo a Roma è invece Lucrezio, della cui vita si sa poco e niente, tranne che (forse, visto che è possibile sia una leggenda messa in giro da cristiani bigotti) morì suicida all'età di 43 anni nel 55 a.C.

Egli poneva, come Epicuro, la natura alla base di tutto, ma al contrario di lui, aveva una considerazione ambivalente di questa: le divinità avevano un lato oscuro, ad esempio Apollo era, sì, il dio del Sole, della conoscenza, ma era anche il dio della peste, del veleno.

La sua era ordunque una concezione pessimistica, la quale si evince d'altronde dal suo poema, capolavoro della letteratura europea, il De rerum natura: trattasi del primo poema di contenuto filosofico della letteratura latina, grazie al quale Lucrezio rese accessibile ai romani il messaggio della filosofia epicurea; in esso egli esalta la ragione come strumento di indagine della realtà, dimostra l'infondatezza della paura degli dèi, i quali vivono beati negli intermundia e non hanno avuto alcun ruolo nella creazione del mondo, nato dalla casuale aggregazione di atomi (e da qui e dalla constatazione che l'uomo incontra continui ostacoli nella sua vita, deriva la negazione di qualsiasi provvidenza), dimostrando la mortalità dell'anima e l'inesistenza di una vita oltre la morte (causa del butthurt dei cristiani bigotti) prova l'infondatezza della paura della morte, distoglie il lettore dalle passioni che lo privano della felicità, e lo esorta a vivere appartato, a vivere nascosto (precetto epicureo).
Si parlerà più a fondo di questo capolavoro, e di conseguenza del pensiero di Lucrezio, in un altro momento.

giovedì 6 febbraio 2014

Vita di un pensatore medio

Spiacente per l'assenza causa scuola, questo fine settimana si recupera e si torna al lavoro.
Articolo di caemine dal vecchio blog:




Mi capita spesso di rivivere la mia infanzia, quando ero uno spensierato e stupido infante. Stupido, sì. Un essere che trovava diletto in ogni evento, difficilmente in grado di elaborare pensieri più complessi di “Il cibo si mangia, l’acqua si beve. Se arriva lo stimolo bisogna andare al bagno”. Si viveva di nulla, alla fine era sufficiente l’affetto materno a donare felicità.
 
Dieci, undici, dodici anni ed ecco che la spensieratezza giunge al termine. Le sinapsi raggiungono numeri accettabili, gli impulsi cominciano ad acquisire ordine e si comincia a pensare. L’affetto dei genitori diventa un limite per la propria indipendenza, un ostacolo per la propria crescita. Tutti ti trattano come un bambino, provi a discutere di qualcosa di serio ma ti ridono in faccia. Loro ritengono che le tue capacità di giudizio siano inferiori a quelle di un cetriolo. E ci sono gli ormoni, che vanno in fermento appena si vede una portatrice di vagina, senza badare troppo ai dettagli. Ed è proprio nei momenti di “amore per sé stessi” che si è felici, si ha quella felicità che giunge appena si dimentica tutto il resto, perché in fondo non si hanno amici. Si hanno gerarchie come per ogni animale da branco, il bullone (non la cosa che si avvita, “bullo grande”), direttamente sotto di lui una decina di bulli che gli leccano il culo in ogni occasione e, in ogni occasione, maltrattano persone random, che più deboli sono meglio è.Ma ecco che gli anni passano e anche questo periodo termina, si superano gli esami di terza media e si aspetta, impazienti, il liceo. Il liceo, lontani da mamma e papà, indipendenti, finalmente. I primi giorni? Paradisiaci a dir poco. Si fanno nuove amicizie, si frequenta un istituto nuovo, ogni sala, ogni laboratorio è qualcosa di spaventosamente eccitante.Si supera il primo mese, ormai i nuovi amici non ti interessano più, non sono così diversi dai vecchi. Gli insegnanti disprezzano addirittura il tuo essere intelligente, forse lo ritengono scomodo. L’istituto diventa un luogo odioso a cui anche la gogna sarebbe preferibile.Ogni mattina ti svegli, prendi il bus, arrivi a scuola e osservi triste le persone felici che ti stanno intorno. C’è chi lo è per amore, perché l’ha trovato, chi lo è perché ha scarse capacità cerebrali. Ma tu ti senti solo, triste, tutti hanno motivi a te oscuri per odiarti. Arriva il 25 Dicembre, il Natale che in passato era una fonte di allegria e gioia senza pari ora diventa una semplice scusa per non frequentare quel corrotto luogo.Le arti e le scienze diventano l’unico rifugio pronto ad accoglierti in ogni momento, dai videogiochi alla fisica.Il tempo scorre inesorabile, ormai i globuli rossi non trasportano più ossigeno, ma pura e genuina misantropia. Misantropia che ti uccide lentamente dall’interno, come un tumore, un parassita, un parassita con un tumore.Sei ormai giunto al limite, stai per collassare ma qualcosa viene a salvarti con un’iniezione di quel calore che ormai non sentivi da un decennio. Arriva lei, un faro che t’illumina in un mare di oscurità. Accogli questa entità e credi di esser felice, ora non sei più solo. La sua semplice presenza ti dà più felicità di quanta te ne darebbe il diventare un dio.Ma ti accorgi che il tempo non si è ancora fermato, scorre indipendentemente da te, da lei, da voi, scorre. Capisci che “finchè morte non vi separi” impone una legge, prima o poi la signora con la falce verrà a prendere uno di voi, separandovi. E non riesci a fare a meno di pensare a questo e… ricominci a soffrire.
 
Tu non la ami davvero, tu non ami lei, ami te. Tu sei lei, lei è te, le vostre esistenze sono un tuttuno, legate l’una all’altra da un’eterea catena. Ecco che anche la sua impulsività, i suoi goffi modi, la sua incosciente tendenza a farti male diventano parte di te stesso, parti che osservi con ammirazione, con amore. Il tuo male è curato, soffri ancora ma c’è qualcosa di più forte che mette il dolore in secondo piano, la gioia.Preferirei allegare una citazione e non la solita canzone:“Sixsmith, salgo i gradini dello Scott monument ogni mattina, e tutto diventa chiaro. Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso”-R. Frobisher, Cloud Atlas (David Mitchell)
Un libro ed un film che consiglio vivamente, un po’ fuori dagli schemi, forse difficile da comprendere. Ma fa pensare come poche altre opere sanno fare, e fa piangere, oh sì, fa piangere di brutto. A volte non sai neanche perché, ma piangi. Proprio come sto facendo io in questo momento.
-Un caemine fin troppo poco virile